Mafia Capitale ed il populismo penale

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Nell’ambito della travolgente rappresentazione di un vero e proprio populismo penale, tutti i cittadini hanno potuto vedere l’esecuzione delle misure cautelari con indagati in vincoli ed ascoltare un’accurata selezione di materiale audio messo a disposizione dalla Procura della Repubblica in una conferenza stampa di grande impatto mediatico.

 

 

Il caso di Mafia Capitale dimostra in modo plastico come l’immagine dell’indagine, la sua rappresentazione sociale operata attraverso l’esibizione della sua funzionalità mediatica, abbia oramai preso l’avvento sostituendosi del tutto all’indagine reale, a quell’umile, discreto e silenzioso lavorio di raccolta degli elementi di prova, così come una visone seria e laica del processo vorrebbe.
I questa ottica di rappresentazione mediatica, e di vero e proprio populismo penale, tutti i cittadini il giorno dell’esecuzione delle misure cautelari, prima ancora che gli atti posti a fondamento dei provvedimenti venissero depositati ai difensori, probabilmente non ancora nominati, hanno potuto ascoltare, vedere e leggere un’accurata selezione di materiale audio video messo a disposizione dalla Procura in una conferenza stampa di grande impatto mediatico.
Sul web, dall’altro ieri, alla portata di chiunque scorrono video riportanti il logo degli investigatori di turno, con il nome in codice dell’operazione investigativa, con accanto quello dell’ufficio stampa prescelto per lo Scoop, mentre sui giornali, quasi tutti, appare la fotografia di uno dei principali indagati, al momento dell’arresto, con una risibile quanto ipocrita sfumatura sulle manette che gli stringono i polsi, alla faccia del divieto di divulgazione di simili immagini, imposto per legge. La logica del populismo processuale spazza via ogni legaccio formale, ogni garanzia ed ogni inutile baluardo di civiltà.
Se così fosse, ancor di più dovremmo riflettere sul fatto che l’esondazione massmediatica del processo costituisce oggi, nel nostro paese, quanto di più nocivo ci possa essere per una giustizia giusta, per la terzietà del giudice, per la stessa indipendenza della magistratura, e ciò al di là di ogni valutazione sulla effettiva consistenza delle accuse a carico degli indagati.
Allorché un processo diventa mediatico, e la notizia della sua esistenza investe in maniera così violenta l'opinione pubblica, l'onda d'urto refluisce immediatamente e lo sommerge, travolgendo ogni precauzione ogni cautela e, di conseguenza, le regole poste a tutela della stessa funzione della giustizia e del processo.
Si tratta spesso di un’onda anomala che travolge soprattutto quelle garanzie così vere da divenire irrinunciabili, come il vaglio di legittimità sui provvedimenti che autorizzano gli inquirenti ad ascoltare le nostre conversazioni telefoniche. Insomma, quel controllo giurisdizionale che rappresenta l'unico elemento di salvaguardia della libertà e che distingue ogni moderna democrazia. Poco importa infatti che i risultati delle captazioni telefoniche possano essere inutilizzabili processualmente, nel momento in cui, prima di qualsiasi contraddittorio o verifica difensiva, vengono distribuiti integralmente al pubblico che oltre che leggere può addirittura ascoltare la viva voce degli spiati, senza bisogno alcuno di fare istanze di accesso al flusso telematico.
Queste, non a caso, sono alcune delle riflessioni che pochi giorni fa la Giunta ha condiviso durante la bella interlocuzione avuta con il consigliere Ernesto Lupo, durante il ricevimento tenutosi presso il Quirinale a seguito dell’invito del Presidente della Repubblica Italiana, Napolitano. Riflessioni che sono state accompagnate da un impegno formale di svolgere fino in fondo il nostro dovere di avvocati, sorvegliando e difendendo il processo da simili aberranti deragliamenti populistici e demagogici e tutelando la Legalità a tutela e a difesa di ogni cittadino, in ogni circostanza.

La Giunta

Roma, 5 dicembre 2014