La richiesta di dimissioni del Ministro Cancellieri

Gli scandali matrioska e le dimissioni del Ministro Cancellieri

 

02/11/2013

Il caso Cancellieri Ligresti contiene il vero scandalo, che è quello complessivo della giustizia italiana, e chi si affretta a liquidarlo con difese interessate o superficiali richieste di dimissioni contribuisce a nasconderlo. Invece la vicenda deve essere l'occasione per una riflessione seria: sul carcere, sulla custodia cautelare, sulle intercettazioni telefoniche, sulla riforma costituzionale della giustizia e sull'amnistia. Il documento della Giunta....

Gli scandali matrioska e le dimissioni del Ministro Cancellieri

Lo scandalo Cancellieri-Ligresti è una matrioska minore che paradossalmente sottrae alla vista le sorelle maggiori che la contengono. Sarebbe fuorviante polemizzare per le altre sessantamila telefonate (una per ciascun detenuto) che il Guardasigilli avrebbe dovuto fare così come per l’amica in rapporti professionali con il figlio, oppure risolvere la questione iscrivendosi al partito non disinteressato di chi chiede le dimissioni o all’opposto si schiera acriticamente a difesa; ciò che occorre, per una riflessione seria, è mettere in fila le matrioske per apprezzarne le proporzioni.

Lo scandalo Cancellieri Ligresti è contenuto nello scandalo carcere, e lo nasconde.

Che il Ministro sia intervenuto per un detenuto sofferente, è in sé una buona azione per un problema vero che – esso si – è certamente uno scandalo. Il primo sguardo va diretto alla incivile situazione della condizione carceraria nel nostro Paese: una tragedia che il Ministro conosce per essersene occupata e dalla quale il coinvolgimento amicale non poteva - paradossalmente ed innaturalmente – distoglierlo. All’assetato si dà l’acqua, non lo si fa morire di sete per “amicizia” o perché si deve prima sistemare l’acquedotto per tutti, ma la vicenda deve servire al Guardasigilli come stimolo per aumentare la sua attenzione ed intensificare la sua attività verso la soluzione della questione detentiva.

Lo scandalo carcere è contenuto nello scandalo custodia cautelare, e lo nasconde.

La signora Ligresti era uno dei tanti detenuti in custodia cautelare; ci si dovrebbe domandare come mai attendesse il giudizio in carcere e non libera, come prevede la costituzione, o al limite agli arresti domiciliari, come suggerivano le condizioni di salute certificate da una perizia e la prognosi positiva indotta da una richiesta di patteggiamento già formalizzata. Se il ministro si è indignato nel toccare con mano, sulla pelle di un’amica, queste storture che noi avvocati tocchiamo quotidianamente sulla pelle dei nostri assistiti, non ha sbagliato. Se il ministro ha colto l’occasione per comprendere che buona parte del problema carcere deriva dall’abuso della custodia cautelare, è solo un fatto positivo.

Lo scandalo custodia cautelare è contenuto nello scandalo dell’uso strumentale delle indagini, e lo nasconde.

Il Ministro è stato intercettato ed ha potuto constatare che abbiamo perso la libertà di comunicare: quale che sia l’ambiente investigato, i salotti buoni del potere o i più sordidi angiporti, l’orecchio degli investigatori abbraccia intere famiglie, andando a perscrutare rapporti intimi e pubblici, vergognosi ed inutili, affari e sentimenti, buttando reti di spietata efficienza che vengono maneggiate con poca cura, perforando come burro i segreti garantiti dalla costituzione, così per l’avvocato come per il Capo dello Stato, oppure soltanto dalla decenza, per le umane debolezze che non costituiscono reato. Se il Ministro trae consapevolezza dell’opportunità di riformare e contenere lo strumento delle intercettazioni telefoniche, contribuisce al ripristino di una delle libertà costituzionali più violate.

Lo scandalo delle intercettazioni è contenuto nello scandalo del cortocircuito mediatico-giudiziario, e lo nasconde.

Il Ministro non è indagato, ma il suo nome è magicamente passato dai brogliacci di polizia giudiziaria ai giornali. Il Ministro non è indagato, ribadiscono gli inquirenti dopo la pubblicazione, eppure la polizia giudiziaria evidenziava maliziosamente nei suoi rapporti (perché, se non era indagato?) che suo figlio telefonava da utenze del Ministero della Giustizia; anche se poi hanno ammesso l’errore (il numero non era del ministero), ma la malizia rimane. Se il Ministro ha fatto una riflessione sul rapporto perverso che lega gli inquirenti all’informazione, potremo anche pensare che sia interessata, ma la riflessione rimane ineludibile ed urgente. Se il Ministro si è chiesto come mai la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, sanzionata da una norma del codice penale (art. 684), non genera un processo in questo come in tutti gli altri casi, e magari ha preso nota della esplicita rivendicazione al congresso dell’Anm da parte del procuratore di Roma della scelta di nemmeno iscrivere le notizie di reato, allora noi non potremo dire altro che “era ora”. Se comprende che l’obbligatorietà dell’azione penale è una finzione e che è necessaria quella riforma costituzionale della giustizia, pervicacemente osteggiata dalla magistratura associata che enfatizza la “inadeguatezza morale” della classe politica al fine di attribuirsi il potere esclusivo di “autoriforma”, allora il Ministro avrà dimostrato consapevolezza del proprio ruolo e dei propri doveri istituzionali.

La conclusione, dunque,  è che lo scandalo Cancellieri - Ligresti è contenuto nello scandalo giustizia, e lo nasconde.

Chi guarda all’uno senza vedere l’altro fa la classica parte dello stolto che guarda il dito e non la luna. Il Ministro ha il dovere di occuparsi della riforma della giustizia e del carcere, due problemi che vanno risolti insieme. Ma il secondo è più a portata di mano, e per esso il Ministro deve fare non le sessantamila telefonate di cui parla il citato stolto del dito, ma proporre l’amnistia e fare approvare i disegni di legge già definiti, quello sulla riforma dell’ordinamento penitenziario e quello del sistema delle pene. Non è vero che il Ministro attuale si sia interessato della Ligresti e non di tutti i detenuti, perché gli va dato atto di aver chiaramente dichiarato che il provvedimento di clemenza è necessario, a differenza del precedente che dribblava le domande sull’amnistia rinviando al parlamento. Ebbene il Ministro faccia di più: prepari il disegno di legge e lo depositi in Parlamento. E depositi anche quello per la riforma del titolo quarto della Costituzione: solo così dimostrerà che il colpo assestatole dal circuito mediatico giudiziario non l’ha intimidita e che è ancora un Ministro a pieno servizio. Altrimenti, se così non è, se non ha più la forza, e ne occorre parecchia, per affermare il primato della politica di fronte alle resistenze della magistratura, allora si, per questo, e solo per questo, rassegni le proprie dimissioni.

Roma, 2 novembre 2013

La Giunta